Libertà, parte seconda.

Pubblicato da Alberto Avitabile il

Aspettava, desiderava quel momento da tempo ormai.

Un giorno come un altro di un mese qualsiasi, di un anno non ben specificato; qualche giorno prima aveva ricevuto istruzioni dopo una serata in video-chat a parlare, ridere, confrontarsi su argomenti che più disparati non si poteva.

Faceva notte in fretta e a volte il freddo le attanagliava le gambe, ma stava bene; conosceva il protocollo a memoria e prima dell’ora fissata, si era preparata a puntino; voleva, desiderava che niente di lei fosse fuori posto, non temeva l’eventuale punizione, ma una cosa ben peggiore: uno sghembo sorrisetto ai lati delle labbra, lo aveva deluso. Aveva deluso la persona che più contava nella sua testa, ma aveva deluso se stessa; niente di peggio.

L’una e trenta di notte, il tempo volava, poi una domanda: “Sei libera domani pomeriggio, vero?” “Si Signore.” “Domattina riceverai un documento, seguilo alla lettera.” “Certamente Signore.” La videochat si interruppe lasciandola interdetta, ma stranamente serena. Conosceva gli orari, alle nove del giorno seguente un led azzurro fece la comparsa sul suo smartphone, chiuse la porta dell’ufficio e aprì l’applicazione di messaggistica: uno scarno ma completo protocollo per il pomeriggio.

Le diciassette in punto alla stazione centrale dei treni, lo scorse da lontano e immediatamente si mise in posizione di attesa, quando furono di fronte, come da protocollo, inginocchiata sulla gamba sinistra, gli sistemò i lacci delle scarpe, si rialzò e in silenzio lo seguì.

Stesso albergo, stessa camera, si spogliò sistemando per bene gli abiti, rimettendosi in posizione di attesa; all’improvviso un’ordine: collar me! Quello che vide la impietrì: non era il suo solito collare, ma uno in metallo luccicante, molto sottile e con un lucchetto a chiuderlo; senza una sola parola le cinse il collo, chiuse il lucchetto, mostrandole la chiave.

Te lo sei guadagnata, brava!

Lo seguì con lo sguardo mentre prendeva posto sulla poltroncina, all’improvviso uno scoppio di pianto a dirotto, singhiozzante, inarrestabile; le fece cenno di avvicinarsi, pose la testa sulle sue gambe cercando di contenersi, ma le parole che udì non fecero altro che farla continuare: “piangi, non può che farti bene”, mentre con le mani le accarezzava i capelli.

Era felice come non mai, quell’uomo, con quel gesto, quel regalo, l’aveva resa finalmente, definitivamente … libera!

To be continued …

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