Una sola entità

Pubblicato da Alberto Avitabile il

Niente ha fatto più male al movimento BDSM come i romanzi e successivi film sulle 50 sfumature; un movimento che faticosamente stava cercando di emergere dall’angolino un cui era stato relegato, assurge improvvisamente sulla scena stimolando oltremodo i pruriti sessuali.

Persone che nemmeno conoscevano il significato dell’acronimo, si dichiaravano praticanti da immemore tempo, al solo, palese scopo, di raccattare una scopata non convenzionale; assurge nello stesso periodo il tormentone di Verdoniana memoria, lo famo strano? Ecco che torme assatanate di uomini  e donne, spesso di mezza età e in crisi, mascherando la propria identità dietro i più disparati nik-name, fanno la loro comparsa nei social media;

Nascono gruppi a tema che gruppi di filosofia spostati, si diffonde la certezza dell’anonimato, quanto di più falso possibile e la conseguente svalutazione del movimento, relegato al ruolo di acchiappa-maschere.

Maschere che suscitano sorrisi, rabbia, sconcerto, ilarità, ma maschere da teatrino dell’assurdo; viene spontaneo andare con la mente ad una Pirandelliana frase:

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”

Quelle stesse maschere, senza distinzione di sesso, che, senza pudore alcuno, si spostano su treni, automobili, aerei, nella vana speranza di incontrare colui che lo trasporti nel mondo del proibito: nel mondo del BDSM. Li si potrebbe paragonare alla pirite, l’oro degli stolti, ma sarebbe dargli un valore anche se minimo, se non fosse che incarnano il nulla cosmico in modo esemplare. Eppure il cosiddetto nulla cosmico, sappiamo non esistere: c’è la materia oscura a tesserne le trame, ci sono i buchi neri a mantenere l’equilibrio, c’è un universo intero da esplorare, capire, interpretare; ecco che cade anche la definizione di cui sopra.

Allora come definirli?

Non definendoli, sono persone non definibili.

Qualcuno si chiederà il perché di tale preambolo, vengo al sodo: il BDSM non è un famolostrano, non è un diversivo dalla routine quotidiana, non è una moda; essere un Dominante una schiava e tutte le sfaccettature che intercorrono tra le due definizioni è qualcosa che si ha dentro, lo si è oppure no!

Non ci si inventa tali per una moda, non ci si definisce tali per autocelebrazione; lo si è.

Si è Dominanti e schiave a prescindere da ruolo e posizione sociale, è un tratto del carattere più intimo delle persone attraverso i quali traggono soddisfazione, piacere personale; piacere e soddisfazione che regalano ad altre persone specularmente opposte; da questo assunto sorge la parola Appartenenza.

Riporto di seguito la definizione di slave da Wikipedia in modo integrale:

“Con il termine slave (in italiano schiavo/a), nel lessico proprio alla comunità BDSM, ci si riferisce generalmente al soggetto, di sesso maschile o femminile, in condizione di sottomissione fisica e/o psicologica rispetto al soggetto dominante (Dom, maschio o femmina).

Contrariamente al mondo anglosassone, in Italia è invalso l’uso improprio di denominare come slave chiunque pratichi BDSM come sottomesso, ignorando quasi completamente termini intermedi come sottomesso, sub e altri. In realtà, essere slave è la forma più estrema di sottomissione e consiste nel far dono di sé al soggetto dominante, che in tal caso può essere una Mistress (padrona) o un Master (padrone), rinunciando in modo totale a qualunque forma di parità.

Lo slave si identifica nell’appartenenza al proprio padrone, fermo restando che ciò avviene sempre nell’ambito di rapporti consapevoli e consensuali identificabili come SSC o RACK e che tale “appartenenza” non ha nessun valore legale. Pochissimi, anche in ambito BDSM, sono slave, la qual cosa, in base a quanto detto, si configura come una vera e propria scelta di vita che va ben oltre il gioco occasionale. In modo più specifico, lo/a slave è colui o colei che vive la condizione di sottomissione all’interno di una relazione continuativa (24/7) o comunque prolungata nel tempo e comprendente aspetti sentimentali, relazionali e sessuali, sempre se ciò è voluto dalla parte dominante.”

Ecco la parolina magica che fa la comparsa: Appartenenza.

Difficile spiegare cosa interpreti, personalmente la vivo come la forma più alta di amore vanilla, laddove i due attori in campo, scevri da ogni inibizione o condizionamento, nell’ambito della negoziazione, sono liberi di essere totalmente, assolutamente se stessi: il/la netturbino/a che sottomette il/la dirigente della multinazionale, con reciproco benessere e soddisfazione. Sono due persone che, consce del proprio essere si donano all’altro in modo totalizzante, perché solo così riescono ed essere Donne e Uomini appagati, felici, sereni. Una volta il BDSM era definito una parafilia, un disturbo comportamentale dell’individuo da curare; fortunatamente, oggi, la visione si è spostata su un piano più realistico: da curare non c’è nulla, c’è da lasciare libera la persona di essere ciò che desidera.

Impossibile improvvisarsi Dominante come impossibile improvvisarsi slave; il primo ha la responsabilità della seconda quasi totale, deve proteggerla e indirizzarla, essere maestro e Uomo, far si che lei si senta accettata per quello che è senza giudizio alcuno; la seconda deve essere chiara nelle intenzioni e lasciarsi trasportare dalle emozioni. Un connubio che, pian piano si trasforma in Appartenenza, dove la seconda ha piena e incontrastata fiducia nel primo e lo stesso fa di tutto per non deluderla: due corpi, due anime, due cervelli, due cuori che si fondono in una sola entità. Quella entità in cui la parte sottomessa, può sperimentare quello che chiamo il paradosso del BDSM: la libertà di essere schiava.

Categorie: Appartenenza

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